11 apr 2016

La volpe alla caccia

Dalle vecchie storie del blog, oggi la spolverata tocca a "La volpe alla caccia". Probabilmente si tratta del mio esperimento di stile più particolare, siete avvisati. Possiede elementi della favola e del racconto drammatico. Non è adatta ai bambini.
Vi lascio alle parole del racconto:  

La volpe alla caccia


E’ una notte fredda, nella tana. La pioggia, all’esterno, batte incessantemente. Si odono tuoni che generano terrore, favorito dai lampi accecanti.
La piccola volpe si rannicchia sul fondo del rifugio. Trema per il gelo e per l’umido. Trema per la tempesta.
È sola, con pochi mesi di vita alle spalle.
Dov’è la madre amorevole, che dovrebbe scaldarla col morbido manto?
Dov’è il saggio padre, che dovrebbe ergersi all’ingresso della tana?
Dove sono fratelli e sorelle, che dovrebbero stare vicini e confortarsi?
Persi nelle ombre.
Il piccolo non sa, ma li chiama a sé con un guaito.
Risponde un altro tuono, rabbioso.



Alla notte segue il giorno, vuoto. Non basta a riempirlo il quieto cielo. La solitudine lo consuma freddamente, poiché è un gelo che i raggi del sole non sono capaci di scacciare.
La terra fangosa sporca il manto della piccola volpe. Il vento, impetuosamente, l’ha gettata nel profondo della tana, addosso al suo corpo. Il rosso quasi non si scorge. Uno scricciolo dal muso mogio.
Si trascina avanti, guarda attorno per una speranza costantemente delusa dal nulla, per l’assenza dei versi della famiglia dispersa. 
Il sole l’acceca in un istante. Ricorda il lampo. Tremiti.



Fame.
Il tremore perde la priorità.
Fame divoratrice. Consuma il vuoto dello stomaco con le sue fitte beffarde. Avvisa se stesso che, senza ciò che vuole, si divorerà da solo, come un ingordo abisso senza fondo.
Il corpo si mobilita per cedere al ricatto, ma il tempo è sufficiente?
L’istinto domina e non si fa domande. Energie, incredule da sé della propria esistenza, si fanno avanti; semplice segnale che son le ultime, quelle del successo insperato o del dramma inevitabile.



Creatura innocente trasformata in cacciatore famelico. Per necessità, non per diletto. Abile, si avventa dal nascondiglio erboso contro il coniglio.
Quando la fitta è forte, risucchia il lombrico dal terreno.
Se non vista, coglie lo scarto del cacciatore lupo, quel che rimane della carogna che lo ha saziato.
Lo stomaco reclama senza distinzioni, e il corpo, schiavo, non può che ubbidire.



La piccola volpe, sola, mesta, ma risoluta, si abitua al giornaliero labirinto di pericoli che è la sopravvivenza.
La tarda notte guaisce per gli incubi sui perduti, ma dall’attimo che segue il brivido quotidiano a quello che lo riaccoglie, una maschera inflessibile l’avvolge.  



Adulta in poco tempo, anche nel corpo. Lo era già nella mente, per il peso della responsabilità di sé.
Cerca la strada da percorrere, quella senza guida, dove le domande son mille e, risposta, non è che una parola, poiché non esiste.



Ma in una casa aspra e selvaggia al nome di foresta, avanza una creatura incomprensibilmente innaturale, che la natura ha generato.
La reggono due sole zampe, poiché il resto si innalzi verso il cielo.
Mammifero senza manto, cacciatore senza artigli, sapiente senza cognizione.
La sua mente non concepisce o accetta l’ordine delle cose, provocando costanti ribellioni senza successo.



Questa bestia geniale o folle, fuggita da colei che l’ha generata, le fa ogni tanto visita per mostrarle quel che ha scoperto. Spesso con volontaria crudezza, una vendetta per le involontarie sofferenze subite.
Agisce caoticamente. Crea il proprio ordine spazzando via l’unico possibile. Qual è il suo destino, se non autodistruggersi e tornar parte dell’equilibrio spezzato?
Ma questo è il futuro, distante. L’uomo ora è nella foresta, a farsi beffe dell’imbattibile. Un cacciatore famelico, non per necessità, ma per diletto, che incrocia l’adulta volpe. 



Una dozzina d’individui a cavallo, che vorrebbero far soma alla natura; coi cani al seguito, i migliori schiavi dell’uomo; in abiti colorati e distinti, a quali solamente loro sono capaci di trovar significato; sono pronti a dare inizio al loro gioco: rincorrere una preda in superiorità numerica, con strategie, trappole e quant’altro.
Per onestà, la bestia si vede concesso, dalle bestie civilizzate, il vantaggio di poter scappare.



Un labirinto senza fuga, è l’obiettivo. Non c’è spasso, se la preda non dura.
Tutto è studiato e senza fallo, fino a domandarsi che sarebbe accaduto, al nobile uomo, se madre natura gli avesse concesso le stesse possibilità che, lui, dona ora alla volpe.
Irriducibile, gli sfugge solo la mancata onniscienza.



Uno squillo di tromba.
La volpe drizza le orecchie. Quel suono non lo ricorda.
È furba, non sciocca, la sua mente pensa al pericolo.
Nascosta, attende di capire meglio.



Gli uomini spronano i cavalli con affettuose tallonate sui fianchi. Fanno partire i cani rabbiosi e sbavanti, addestrati con istruttiva violenza. Tutto procede alla perfezione. Restano da stimare i tempi e l’eroico vincitore della giornata.



Corrono a perdifiato, con capacità e tenacia, resistenza e destrezza. Quanta abilità nelle bestie da trasporto del cavaliere, che si preoccupa d’impartir comando, restare in sella e specialmente: non far cader il cappello.



Dal suono sconosciuto si passa al trambusto più forte: cani abbaianti, cavalli scalpitanti e il loro peso.
La volpe ascolta. Coglie che son tanti, che si avvicinano, e che se cercano lei, la fine, è il destino più probabile.



I cani seguono un traccia d’olfatto, un senso affinato, accurato come uno sguardo.
Sanno com’è la loro preda senza scorgerla. Ma anche la volpe coglie un odore familiare, simile a un altro, e indaga le discrepanze per il vantaggio che possono concederle.



La volpe scatta in avanti, fuori dal nascondiglio, proprio quando i cani si fanno vicini.
Corre in direzione mai osata.
Serve a poco temere la morte dinnanzi a sé, quando questa t’insegue alle spalle. Sempre che la morte sia capace di morire a sua volta, scontrandosi con se stessa allo scansarsi della volpe.



I cani seguono la traccia anche con la volpe dinnanzi. Lei si guarda alle spalle un solo istante.
Più di venti, furiosi. Il numero non conta, sono pochi. Uno solo basterebbe ad abbatterla, ma pochi restano, nella sua mente consapevole.



I cani sbavano e ansimano, ma continuano a correre. La fatica è un semplice stato, non un obbligo a fermarsi.
La volpe prosegue ritta.
I cavalieri coraggiosi, addietro di metri e metri, si godono la scena. Il cane di chi donerà la vittoria al suo illustre padrone?



Perché la volpe non devia? Non era un animale furbo?
Così il confronto non sussiste. Verrà presa e sbranata.
Dovrebbe nascondersi o cambiare percorso nella speranza, inesistente, che l’olfatto smetta di scovarla.
La volpe va ancora ritta, coi cani a un passo dall’esserle addosso.



Un ululato.
Occhi brillanti e chiari osservano da dietro gli arbusti.
Sbavano anche le loro fauci, ma non per l’inseguimento a vuoto di una preda che sarà sottratta. Sbavano per una fame vera, alimentata da giorni di digiuno.
Il branco non attende oltre. Le prede sono fisicamente inferiori. Venti lupi non hanno timore di avventarsi contro dei poco più numerosi cani.



La volpe, furba, devia ora, quando ha un senso.
I lupi massicci sbattono a terra i cani, gracili, rispetto a loro, abituati ad azzuffarsi per il cibo, per la caccia di un animale snello, non per sopravvivere.
Gli uomini a cavallo osservano il raccapricciante spettacolo, e grazie all’intrepida distanza fan marcia indietro. Sia mai che il lupo si sazi poco di cane.


    
Maledetta la natura e le bestie mostruose come il lupo, piagnucolano con la coda fra le gambe.
I cani non erano neanche bastardi, e il prezzo in denaro per sostituirli sarà alto.
Poiché tornare a cacciare la pregiata volpe in estinzione è inevitabile.
Il timore, l’istintivo ricordo di un passato atavico da prede, passerà.



La volpe si allontana. Salva, ancora una volta. 
Da preda è tornata cacciatore, poiché non esistono ruoli fissi, in questo gioco, come i più saggi sanno.



Un uomo, da lontano, giura di vederla. È immobile, sopra un tronco cavo, che li osserva. Li fissa con i suoi occhi così profondi, che appaiono coscienti, fino a far emergere una domanda: sarà davvero una semplice bestia? Guidata da istinti basilari? Alla quale manca quella scintilla in più?
Quella scintilla inspiegabile, ma così chiara nella mente di un uomo. La scintilla che, sola e unica, permette di dar vita, a una tortura esilarante come la caccia alla volpe.


Fine

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